Iulia Caesaris Augusti “exemplum licentiae”

(Toulouse) Portrait de Julie Ra 338
Giulia (nella storiografia moderna Giulia Maggiore, per distinguerla da altre donne della storia romana); Roma, 39 a.C. – Reggio Calabria14 d C, è stata una nobildonna romana, unica figlia naturale dell’imperatore Augusto, nata dalla sua seconda moglie Scribonia.
L’isola di Ventotene è stata da sempre terra di confino. Il fascismo vi inviò i suoi oppositori, i Borboni vi avevano costruito una colonia penale, e prima di tutti, i romani la avevano usata per esiliare le loro donne più pericolose: Germanico e Nerone vi esiliarono le rispettive mogli Agrippina e Ottavia, ma la tradizione fu inaugurata da Ottaviano Augusto nel 2 a. C., quando scoprì una congiura ai suoi danni organizzata, tra gli altri, da sua figlia Giulia. La sua prima reazione fu di chiederne la condanna a morte, poimutò la pena in un esilio forzato nell’isola di Pandateria, l’attuale Ventotene.

Giulia nacque il giorno stesso in cui il padre, Ottaviano, divorziò dalla seconda moglie Scribonia, madre di Giulia,(descritta da Svetonio come “sregolata nei costumi”) per sposare, tre mesi dopo, Livia Drusilla. Ottaviano ottenne la piena potestà sulla bambina, che tolse alla madre naturale per affidarla alla matrigna Livia affinché ricevesse l’educazione di una ragazza romana aristocratica.
«Augusto allevò la figlia e le nipoti con tale severità che vennero abituate al lavoro della lana e vietò loro di dire o fare qualcosa se non pubblicamente, perché ogni cosa potesse essere annotata nel diario quotidiano.» (Svetonio, Augustus, 64.)
Ricevette, per volere del padre, i migliori insegnanti: Macrobio afferma che Giulia aveva un «amore per la letteratura e una considerevole cultura, qualcosa di facile da ottenere nella sua famiglia».

Busto di Augusto, zio e suocero di Marcello (Museo del Louvre, Parigi)
Fin da ragazzina attirò l’attenzione degli uomini, tanto che Ottaviano ne fu allarmato: decise che la fanciulla potesse incontrare e parlare solo con persone autorizzate da lui. Il suo controllo, oltre a essere espressione di una patologica gelosia paterna, aveva uno scopo: la figlia, attraverso un’accorta politica matrimoniale,sarebbe stata uno strumento per consolidare il potere. La sposò, quando aveva solo due anni, con Marco Antonio Antillo che ne aveva dieci (ma non fu mai celebrato). Subito dopo la promise a Cotisone, re dei Geti (più o meno gli attuali rumeni), ma senza ma i sposarla.
Matrimonio con Marcello

Statua dell'”apollineo” Marco Claudio Marcello esposta al Louvre.
Nel 25 a.C., all’età di quattordici anni, Giulia sposò il cugino Marco Claudio Marcello (figlio di Ottavia minore, sorella di Augusto), che aveva tre anni in più di lei.
Marcello, forse designato erede di Augusto, organizzò degli splendidi giochi, finanziati dallo stesso imperatore, ma morì nel settembre 23 a.C.: la coppia non aveva avuto figli, Giulia aveva solo sedici anni.
Matrimonio con Agrippa

Busto marmoreo di Agrippa ritrovato a Gabi ed esposto al museo del Louvre
Marco Vipsanio Agrippa il secondo marito sposò Giulia a 18 anni, nel 21 a.C., Agrippa, che aveva all’epoca 39 anni, era originario di una famiglia di rango modesto, ma divenne generale fidato di Augusto nuovo erede al trono. Non fu un matrimonio felice: al nome di Giulia vennero legati, numerosi adulteri, gli storici la definiranno “promiscua”, “inquinata dalla lussuria”, “modello di licenziosità”, “molteplice adultera”. Viaggiarono molto però – in Gallia e nelle province orientali – e ebbero quattro figli. L’ultimo nacque nel 12 a.C., poco dopo la morte di Agrippa avvenuta improvvisamente all’età di 51 anni; Il figlio postumo ricevette il nome del padre: Agrippa Postumo. Augusto non perse tempo e risposò Giulia con Tiberio il suo fratellastro e proclamato nuovo erede.

(Venice) Tiberius Portrait of the ”Imperium Maius” type in Museo Archeologico Nazionale
Per sposare Giulia (11 a. C.), Tiberio dovette divorziare da Vipsania Agrippina, la figlia di primo letto di Agrippa che egli amava profondamente e da cui aspettava un secondo figlio. Si dice che lo perse per via del trauma dovuto a questo improvviso cambiamento.
Il matrimonio con Tiberio non ebbe un corso positivo. Il loro figlio morì durante l’infanzia e Giulia considerava Tiberio non alla sua altezza, lamentandosi di questo attraverso una lettera destinata all’imperatore.
Nel 6 a.C., i due avevano già divorziato.
Arresto, esilio e morte

Nel 2 a.C., Giulia, madre di due eredi di Augusto e moglie del terzo, venne arrestata per adulterio e tradimento. Augusto le fece recapitare una lettera a nome di Tiberio in cui il loro matrimonio veniva dichiarato nullo. L’imperatore stesso affermò che Giulia era colpevole di aver complottato contro la vita sua vita. Molti dei complici di Giulia vennero esiliati, altri, tra cui la liberta Febe furono obbligati a suicidarsi. Augusto mostrò di essere a conoscenza da tempo delle manovre dei congiurati: “Vorrei essere morto senza figli”, dirà citando l’Iliade.
Tuttavia, Giulia, neppure nel fallimento della sua azione velleitaria e perdente, ebbe mai il riconoscimento ufficiale di cospiratrice: il padre, tacitandone l’atto eversivo, preferì farla condannare solo per reati a sfondo sessuale. Adesso, ad Augusto, premeva costruire una nuova aristocrazia e restaurare gli ‘Antiqui mores‘ al servizio della sua politica.
A partire dal 27 a.C., rimasto leader unico, Augusto volle riorganizzare lo stato compromesso da oltre un secolo di guerre civili.(…) Prima della crisi la competizione per le magistrature era riservata ai detentori delle virtutes, monopolio dell’aristocrazia e di natura ereditaria, era quindi permesso alla sola nobiltà accedere al governo: il rango familiare era reputato necessario per il prestigio sociale e il suo riconoscimento, (la dignitas), patrimonio fondamentale per l’esercizio del potere oligarchico. Le nozze con Livia del 17 gennaio del 38 a.C. (…) servirono al principe per rinsaldare la sua collocazione all’interno dell’aristocrazia.
La famiglia, fu oggetto di una specifica attenzione da parte di Augusto, (…) le donne furono valorizzate per la loro applicazione delle antiche virtù femminili, celebrate nella funzione di mogli e di madri in una famiglia divenuta domus Augusta: luogo di convivenza tra dimensione privata e pubblica, luogo in cui doveva nascere e crescere un successore di sangue del principe. (…)
Le Leges Iuliae prevedevano l’obbligo del matrimonio per celibi, vedovi e divorziati, altrimenti colpiti da sanzioni patrimoniali; incoraggiavano la procreazione, come risposta alla grave crisi demografica del tempo vietavano ai senatori e loro discendenti fidanzamenti e unioni matrimoniali con liberte, attrici, figlie di attori e attrici, trasformavano l’adulterio e le relazioni extra matrimoniali in un crimine pubblico, si poteva persino arrivare all’assassinio degli amanti da parte padre e il marito della donna adultera; erano previste pene pecuniarie e l’esilio per i colpevoli..
(…) Se i matrimoni rappresentavano ancora legami spesso transitori, i figli univano in termini definitivi famiglie diverse e erano il mezzo per raggiungere quei requisiti di sangue utili alla nuova aristocrazia.
La legislazione augustea dovette fronteggiare l’opposizione di parte dell’opinione pubblica poiché era percepita come un’inappropriata interferenza dello stato nella condotta privata dei cittadini, per tradizione affidata al pater familias.
(…) Anche la perdita di parte del patrimonio per i rei di adulterio, il loro esilio e il loro possibile omicidio, avrebbe determinato l’esclusione dalla curia; e un ‘accusa, anche pretestuosa, poteva tramutarsi in un’arma per eliminare gli avversari politici e ridefinire la composizione del senato.
Nonostante tale reazione ostile, alcuni gruppi sostennero la legislazione augustea, e ne garantirono l’approvazione. (…) I nuovi membri dell’ordine senatorio adottarono comportamenti che testimoniavano la loro appartenenza a quei gruppi: acquistavano immobili nelle zone più prestigiose di Roma e vi stabilivano la loro residenza.
Giulia, fu la prima vittima di questa legislazione e la prima esiliata celebre della storia di Ventotene. Restò sull’isola per cinque e anni. Come quando era ragazza, non erano ammessi uomini vicino a lei . Gli eventuali visitatori dovevano avere l’autorizzazione di Augusto (che doveva sapere la loro statura, dettagli fisici, carnagione e statura). Non poteva nemmeno bere vino né aver accesso ad alcun genere di lusso. Fu un periodo lungo, che passò in compagnia (ma la cosa non è certa) della madre Scribonia. Col tempo Giulia ottenne il permesso di lasciare l’isola, tornò in Italia e fu confinata a Reggio Calabria, ma per l’imperatore rimase sempre persona non grata e più volte negò la grazia che il popolo chiedeva per lei. Un bando che continuò anche dopo la morte: per ordine dell’imperatore le sue ceneri non furono ammesse al mausoleo di famiglia.
Quando Tiberio divenne imperatore tolse a Giulia le sue rendite, ordinando che fosse confinata in una sola stanza e le venisse tolta ogni compagnia umana. Lei morì poco dopo, forse per malnutrizione (magari una ritorsione di Tiberio per aver disonorato il loro matrimonio); è anche possibile che si sia lasciata morire dopo aver saputo dell’assassinio del suo ultimo figlio, Agrippa Postumo.
WIKIPEDIA e altro – rielaborazione
Dulce Pontes – Ondeia (Agua) – O’ Primeiro Canto 1999
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in appendice
Costruire una nuova aristocrazia: gli antiqui mores al servizio della politica augustea.
Francesca Rohr Vio – Università Ca’ Foscari Venezia, Italia
Sommario 1 Il capitale simbolico dell’antica nobiltà nella restaurazione augustea. – 2 La valorizzazione della famiglia. – 2.1 La selezione dei modelli di comportamento. – 2.2 Le Leges Iuliae. – 3
1 Il capitale simbolico dell’antica nobiltà nella restaurazione augustea A partire dal 27 a.C., rimasto leader unico, Augusto si accinse a un’articolata operazione di riorganizzazione dello stato, il cui funzionamento era stato compromesso da oltre un secolo di guerre civili. Accanto alla necessaria imposizione di modalità nuove di amministrazione, egli perseguì quale elemento connotante e qualificante della sua azione di governo il ripristino dei fondamenti della res publica nelle sue strutture istituzionali e militari, nelle pratiche religiose e nei presupposti ideologici. Nell’ambito di tale complesso percorso di recupero della tradizione repubblicana, Augusto accordò uno spazio e una funzione primarie al riconoscimento e alla promozione del codice di valori su cui l’antica nobiltà aveva fondato il proprio potere nella prima e media età repubblicana, ma che nel tempo delle guerre civili aveva subìto una temporanea eclissi. Prima della crisi, in nome del legame tra virtus e honos, la competizione per le magistrature era riservata a quanti disponevano delle virtutes. Il monopolio di queste ultime da parte dell’aristocrazia e la loro natura ereditaria circoscrivevano alla sola nobiltà l’accesso al governo oligarchico, con importanti conseguenze di natura politica e sociale:il rango familiare era reputato presupposto necessario per il cursus honorum e per la notorietà, ovvero per il prestigio sociale e il suo riconoscimento, cioè la dignitas. Il patrimonio valoriale che nel corso della repubblica era stato posto a fondamento di tale modalità di esercizio del potere oligarchico fu acquisito, difeso e diffuso da Augusto e divenne il cardine dell’etica del principato. In ciò Augusto perseguiva obiettivi molteplici. In una prospettiva personale, far propri i princìpi fondanti del primato aristocratico risultava funzionale per il principe a rinsaldare la sua collocazione all’interno dell’aristocrazia, esclusa dall’ascendenza della famiglia paterna e imposta, invece, dall’adozione cesariana, ma da taluni contestata.
L’accettazione di Ottaviano da parte dell’antica nobiltà risultava fondamentale per le sue aspirazioni alla leadership: questo dimostra l’apertura da lui concessa a non pochi esponenti dell’antica nobiltà anche compromessi con i Cesaricidi, apertura inaugurata dalle nozze con Livia del 17 gennaio del 38 a.C. e che Augusto Fraschetti ha efficacemente definito ‘politica dell’oblio’. In una dimensione collettiva, la tutela del capitale simbolico dell’antica nobiltà esprimeva, in una prospettiva garantista, la volontà del principe di ripristinare gli equilibri sociali e i meccanismi di affermazione propri della repubblica oligarchica, nonostante la posizione di potere individuale ed eccezionale da lui esercitata nello stato. Secondo la linea di condotta dichiarata dal principe, la res publica restituta sarebbe stata amministrata attraverso le norme applicate nel rispetto della tradizione all’interno di ciascuna gens e nello stato il principe avrebbe esercitato funzioni assimilabili a quelle di un pater familias.
2 La valorizzazione della famiglia Proprio la famiglia, contesto primario di elaborazione, applicazione e tutela del codice di valori aristocratico e fondamento della classe dirigente repubblicana prima e augustea ora, fu oggetto di una specifica attenzione da parte di Augusto, nel segno di un recupero della tradizione.
2.1 La selezione dei modelli di comportamento
Gli interventi del principe si produssero secondo modalità diverse e complementari. In primo luogo egli valorizzò esempi attinti al passato di Roma. È noto, ad esempio, come nel contesto di un discorso tenuto in senato a sostegno della sua legislazione sulla famiglia Augusto citò le parole pronunciate da Q. Cecilio Metello Macedonico nel corso della sua censura nel 131 a.C. in favore del matrimonio. In seconda istanza Augusto riconobbe a sé stesso e attribuì ai suoi familiari un’importante vocazione esemplare. Coinvolse in tale azione le donne della sua famiglia: la sorella Ottavia, la moglie Livia, fino alla relegatio del 2 a.C. la figlia Giulia Maggiore, le nipoti Giulia Minore fino all’8 d.C. eAgrippina Maggiore, la figlia di sua sorella, Antonia Minore. Le valorizzò per la loro applicazione delle antiche virtù femminili, canonizzate nei secoli dal modello,12 e soprattutto ne celebrò la funzione di mogli e il ruolo di madri, assolto in una famiglia divenuta domus Augusta e pertanto contesto di una complessa convivenza tra dimensione privata e pubblica, nella quale doveva nascere e crescere un successore che si sarebbe voluto discendente di sangue del principe. Augusto promosse queste donne come modello anche per le modalità della loro interferenza nella vita della comunità, rinnovate rispetto alle esperienze eccezionali della tarda repubblica, nel nome della normalizzazione augustea. Le loro iniziative, concordate con il principe e più spesso esito di decisioni di quest’ultimo, erano promosse a vantaggio della famiglia imperiale e si concretizzavano grazie alla disponibilità di consistenti patrimoni e all’autonomia dal tutore assicurata, ad esempio nel caso di Livia, dal ius trium liberorum. Le matrone della domus principis erano promotrici, quindi, di un’importante attività evergetica ed esercitavano quella sorta di patronato femminile che Christiane Kunst ha definito matronage; interferivano nella vita pubblica anche assumendo la regìa di matrimoni e divorzi, che maturavano in particolare nell’ambito della famiglia imperiale ed erano spesso connessi alle esigenze della successione alla porpora. Augusto assicurò visibilità al modello costituito dalle donne della sua famiglia garantendo loro il diritto alla pubblica diffusione delle proprie imagines; la partecipazione agli spettacoli nel teatro e nel circo, in posizione di particolare evidenza, al fianco dell’imperatore e tra le Vergini Vestali; l’uso del carpentum in Roma.
2 Le Leges Iuliae2.
Augusto affidò la rivitalizzazione degli antiqui mores in particolare a sostegno del ritorno alla famiglia tradizionale anche a un’articolata piattaforma legislativa. Tale legislazione contribuì in termini rilevanti all’affermazione dell’etica augustea ma forse rispose anche a finalità politiche, incidendo significativamente nella composizione della nuova classe dirigente. Si trattò principalmente in tre provvedimenti: la Lex Iulia de adulteriis e la Lex Iulia de maritandis ordinibus, approvate tra il 18 e il 16 a.C.; la Lex Papia Poppaea del 9 d.C.22 Prevedevano l’obbligo del matrimonio per celibi, vedovi e divorziati, altrimenti colpiti da sanzioni patrimoniali; scoraggiavano unioni socialmente asimmetriche tra senatori e liberte; trasformavano l’adulterio e le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio in un crimine pubblico; definivano un preciso iter giudiziario per il perseguimento dei rei; assicuravano ampi margini di intervento, fino all’assassinio degli amanti, per il padre e il marito della donna adultera; prevedevano pene pecuniarie e l’esilio per i colpevoli. Incoraggiavano la procreazione, come risposta alla grave crisi demografica del tempo.
La legislazione augustea dovette fronteggiare l’opposizione di parte dell’opinione pubblica. Essa era percepita come un’inappropriata interferenza dello stato nella condotta privata dei cittadini, per tradizione affidata al pater familias. Incoraggiare la procreazione e la nascita di numerosi figli avrebbe determinato la ripartizione dell’eredità familiare tra più soggetti; costoro in età adulta avrebbero potuto non disporre del patrimonio necessario per accedere al senato, trovandosi nella condizione di rinunciare alla carriera politica o di far dipendere le proprie ambizioni da un intervento di sostegno del principe. Anche la perdita di una parte consistente del patrimonio per i rei di adulterio, oltre al loro esilio e al loro possibile omicidio in caso di condanna, avrebbe determinato l’esclusione dalla curia; e l’accusa per tale reato, anche pretestuosa, avrebbe potuto tramutarsi in un’arma a cui ricorrere per eliminare gli avversari politici e ridefinire la composizione del senato. Nonostante tale reazione ostile, alcuni gruppi sostennero la legislazione augustea, tanto da garantirne, con la propria influenza, l’approvazione da parte dei comizi.
3 La nuova classe dirigente augustea
Il senato, nel 18-16 a.C. e ancor più nel 9 d.C., aveva una composizione diversa rispetto al tempo in cui Ottaviano aveva inaugurato la propria strategia di recupero del modello familiare avito, secondo quanto sembra si possa comprendere dalla tradizione. Nel 28 a.C., rimasto leader unico nello stato e rientrato a Roma dall’Oriente, Ottaviano pare avesse elaborato una prima proposta di legge sulla famiglia: essa era stata ritirata o forse abrogata dopo una brevissima applicazione.
Allora in senato sedevano ancora non pochi sostenitori di Marco Antonio, che con la sua vita privata e anche con la sua azione pubblica insieme a Cleopatra, ‘inimitabile’ come veniva definita e così antitetica alle scelte augustee, si discostava dal mos maiorum e veniva a costituire un modello di comportamento gradito soprattutto a molti giovani e intellettuali. Forse i senatori che erano stati antoniani, in un sentire certo condiviso anche con altri membri della curia, potevano aver disapprovato tale limitazione nella libertà della vita privata dei cittadini. Diversamente, il senato del tempo in cui furono emanate le leggi giulie sulla famiglia aveva in parte mutato il proprio assetto: registrava l’estinzione di numerose famiglie; era condizionato nella sua composizione da ingerenze del principe di diversa tipologia: i donativi ad alcuni senatori privi del necessario patrimonio a garanzia della loro permanenza in senato; la nomina di nuovi patrizi; le epurazioni della curia nel 29 a.C., nel 18 a.C., nell’11 a.C. e nel 4 d.C.32 in alcuni casi in coincidenza temporale con la legislazione augustea sulla famiglia che causarono l’espulsione degli indegni per motivi patrimoniali, giudiziari, politici, mo rali, e una riduzione dei membri della curia. Accanto a un nucleo di membri espressione delle antiche gentes aristocratiche, nel nuovo senato augusteo sedevano numerosi individui di recente promozione, affermatisi soprattutto nel corso delle guerre civili. La tradizione suggerisce che questi nuovi senatori non si adoperassero nella prospettiva di rinnovare la curia, apportandovi nuove regole e una nuova mentalità. Diversamente, agivano con la volontà di legittimare la propria cooptazione omologandosi agli esponenti dell’antica aristocrazia: ne acquisivano il codice di comportamento e il sistema valoriale. Si trattava della stessa opzione seguita da Ottaviano, espressione di una famiglia che era stata equestre fino alla carriera senatoria di suo padre. Coloro che entravano nella nobiltà facevano proprie l’etica e le modalità di esibizione del loro rango, ovvero la notorietà. Così i nuovi membri del senato augusteo si attivavano per acquisire e ostentare i requisiti da sempre necessari ad entrare a far parte dell’assemblea, ovvero le cariche magistratuali e il possesso della terra, che durante le guerre civili veniva di frequente confiscata ai proprietari e riassegnata agli esponenti della parte politica avversaria. Gli homines novi si adoperavano a far proprio anche il codice di valori e i simboli della loro nuova condizione sociale, che tradizionalmente identificavano i membri dell’ordine senatorio, ovvero adottavano comportamenti che esprimessero la loro appartenenza a quel gruppo: acquistavano immobili nelle zone più prestigiose di Roma e vi stabilivano la loro residenza; promuovevano iniziative per ottenere visibilità. Secondo quanto avveniva per l’antica nobiltà nella prima e media repubblica, la riconoscibilità sociale, il rango, guadagnati in un primo tempo con la carriera degli honores, divenivano ereditari e il prestigio si connetteva, più che alle magistrature ricoperte, alla famigliai appartenenza, contesto di produzione e trasmissione del capitale economico, culturale, sociale e simbolico a cui gli status symbols assicuravano evidenza visiva. La piattaforma legislativa di Augusto doveva rispondere alle esigenze di legittimazione degli homines novi del senato e alla loro cooptazione nella antica nobiltà. Questa normativa assicurava, infatti, incentivi nel cursus honorum per coloro che avevano moglie e figli e limitava la possibilità di ereditare, e quindi di accrescere il patrimonio, per coloro che non avevano famiglia. Vietava per i senatori e i loro discendenti per tre generazioni fidanzamenti e unioni matrimoniali con liberte, attrici, figlie di attori e attrici. Si incoraggiavano, quindi, unioni ‘endogamiche’ all’interno della classe dirigente. Ciò agevolava l’integrazione dei senatori di nuova cooptazione mediante nozze, proprie o dei propri discendenti, con membri dell’antica aristocrazia, numericamente insufficienti per matrimoni nell’ambito del loro stesso gruppo e scoraggiati a contrarne con esponenti di ceti inferiori. Anche il perseguimento dell’adulterio doveva concorrere a tale osmosi: in un contesto in cui la paternità era resa certa dalla fedeltà dei coniugi, i figli nati dall’unione di homines novi e di donne espressione della nobilitas senatoria tradizionale, come anche dalle figlie dei nuovi senatori e dagli esponenti dell’antica aristocrazia, avrebbero mescolato in sé il sangue dei due genitori e quindi reso indistinto nei propri eredi l’apporto della nobiltà antica e quello dell’élite più recente. Si trattava di una soluzione che il tribuno Canuleio caldeggiava già nel 445 a.C. Questi individuava una strategia per l’accesso dei plebei alle magistrature, monopolizzate dal patriziato sulla base di privilegi di sangue, nel matrimonio tra patrizi e plebei, che nei figli avrebbe fuso il sangue dei due gruppi e quindi determinato il venir meno dell’esclusività del privilegio. di Come ben scrive François Hinard: «Ciò che definisce un aristocratico sono i suoi avi»: per gli homines novi l’accesso alla nobiltà doveva transitare attraverso l’acquisizione di avi autorevoli. Le vicende biografiche di alcuni protagonisti della prima età imperiale attestano l’efficacia di tali modalità di integrazione sia nella nobilitas senatoria sia nella Domus Augusta, nuovo centro del potere: la competizione tra gentes si manifestava ora più che per le magistrature, proprio per l’accesso alla famiglia del principe, che si realizzava attraverso le unioni matrimoniali. (…)
Marco Vipsanio Agrippa. Egli, homo novus, fu inizialmente unito in matrimonio con Pomponia Cecilia Attica, figlia di un cavaliere, per quanto assai influente. In sèguito sposò Claudia Marcella Maggiore, nipote di Augusto: in tal modo acquisì un legame con l’antica nobiltà – per l’appartenenza del padre di lei alla gens Claudia – ed entrò a far parte della casa imperiale – attraverso la madre di lei, Ottavia. Le nozze con Giulia, figlia del principe, gli assicurarono di essere il padre biologico – e legale per un certo tempo – di coloro che vennero destinati a succedere al princi pe e che solo per il loro tragico destino non raggiunsero, figli di un obscurus Vipsanius, la porpora. Proprio come le leggi augustee, suscitarono critiche e resistenze anche questi meccanismi di promozione, che ne furono in parte la conseguenza perseguìta. (…) I matrimoni rappresentavano, dunque, un mezzo per l’osmosi tra famiglie socialmente asimmetriche, ma erano contrastati da quanti difendevano la purezza della nobilitas e operavano per il contenimento dell’affermazione degli homines novi e per la tutela del monopolio aristocratico del potere. La valorizzazione della famiglia e in particolare il recupero dei valori cardine della repubblica sembra, dunque, concorressero alla politica di integrazione degli homines novi nella classe dirigente augustea, un’integrazione affidata non più, come invece nel tempo delle guerre civili, all’accesso agli honores, bensì primariamente all’appartenenza familiare, secondo i princìpi fondanti della res publica. Se i matrimoni rappresentavano ancora legami spesso transitori, i figli univano in termini definitivi famiglie diverse e costituivano il mezzo certo per il raggiungimento dei requisiti di sangue utili alla nuova aristocrazia augustea, nata dalla permanenza di talune famiglie e dall’immissione di altre, secondo regole che nella repubblica individuavano il loro precedente e la loro fonte di legittimazione.
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